Tra Roman e la Terra

Retrospettiva sul grande autore Roman Polanski

polansky

Parte questa settimana e durerà per buona parte della prossima: Tra Roman e la Terra, una grande retrospettiva dedicata a Roman Polanski, fresco ottantenne, tra i registi più originali degli ultimi 50 anni (c/o la Sala Conti Palladini della Biblioteca comunale di Amelia, in collaborazione con il Comune di Amelia, Ass.to alla Cultura).

Oltre il Visibile ha selezionato alcuni lungometraggi tra i più significativi della lunga e premiata carriera artistica del grande autore franco-polacco, le cui visioni saranno precedute dai suoi bellissimicortometraggi d’esordio e dall’introduzione ai film del prof. Edward Lorence Nelson.

La vita di Polanski, al pari dei suoi film, è ricca di colpi di scena: dalla guerra con i suoi i suoi orrori ai campi di concentramento, dai trionfi sul palco dei maggiori festival internazionali ai viaggi attraverso l’Europa e l’America, fino ai guai con la giustizia. Vita e carriera che saranno ripercorse, in particolare, sabato 7, con la proiezione del recente e toccante documentario Roman Polanski: a Film Memoir.

Si parte giovedì 5 settembre, ore 21.00 con Repulsion (Gran Bretagna 1965), scritto dal giovane Polanski insieme a Gérard Brach.

Il film è un’asfissiante opera di realismo fantastico e psicologico che atterrisce grazie alla forza espressionistica del bianco e nero fotografato da Gilbert Taylor, alle soluzioni visive ardite e macabre, oltre naturalmente alla magistrale interpretazione di una spaventosamente imbambolata Catherine Deneuve, dolce e agghiacciante insieme.

Con quest’opera, vincitrice dell’Orso d’argento a Berlino 1965, Polanski dà il via alla sua perversa e malata indagine nei meandri della psiche umana, rappresentata dagli spazi angusti di squallidi appartamenti popolati da vicini di casa benpensanti e da anziane signore imbellettate e ficcanaso.

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Venerdì 6 settembre, ore 21.00 sarà la volta di Cul de sac (Gran Bretagna 1966), uno dei migliori film di R. Polanski, scritto anche questo a Parigi con Gérard Brach.

In un castello periodicamente isolato dall’alta marea sono a confronto una coppia di nevrotici borghesi e una coppia di sgangherati criminali in un reciproco gioco di massacro.

Commedia nera: colpi di scena, grand-guignol e sprazzi di stridula malinconia, rivelatori delle diverse frustrazioni dei personaggi. Piccola parte per l’esordiente Bisset, non ancora Jacqueline. Orso d’oro al Festival di Berlino.

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Sabato 7 settembre, sempre alle ore 21.00 proiezione di Roman Polanski: A Film Memoir, un film di Laurent Bouzereau (documentario, Italia 2012).

Roman Polanski si trova agli arresti domiciliari dopo l’arresto avvenuto nel momento in cui stava per ricevere un premio alla carriera al festival di Zurigo. Accetta così di farsi intervistare dall’amico di lunga data Andrew Braunsberg (anche suo produttore per alcuni film). Si comincia parlando della reazione all’improvvisa incarcerazione per poi dare ampio spazio alla rievocazione dell’infanzia del regista.

È qui che un Polanski spesso considerato come freddo e scostante rivela, per la prima volta in modo così approfondito, come il suo fare cinema e le tematiche che affronta (al di là di quelle evidenti de Il pianista) traggano origine dalla vita di quel bambino ebreo i cui genitori, sbagliando, rientrarono in Polonia da Parigi poco prima che il conflitto iniziasse.

Le parole si spezzano in gola quando Roman racconta della deportazione della madre ad Auschwitz o della ricomparsa del padre dopo una lunga assenza (prima di essere a sua volta deportato a Mauthausen).

È un’infanzia che ha fatto la sua ricomparsa in numerosi dettagli del film che ha visto Adrien Brody protagonista ma che, raccontata oggi, apre nuove prospettive di lettura nei confronti di un cinema in cui la sofferenza dell’individuo e il suo confronto con il mistero del male restano presenti. Polanski ha conosciuto non solo la violenza nazista ma anche quella della banda Manson che massacrò Sharon Tate incinta.

Ci troviamo così di fronte a un documentario anomalo e per questo particolarmente efficace. Una volta tanto la messa a nudo del privato di un artista non è finalizzata al gossip ma a far comprendere meglio il fil rouge che percorre il suo fare cinema.

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Giovedì 12 settembre (con inizio ore 21.00) è di scena il lavoro forse più famoso di Roman Polanski: Rosemary’s Baby (USA, 1968), con Mia Farrow e John Cassavetes, il primo film made in USA dopo i primi tre britannici.

Rosemary Woodhouse (Farrow) sospetta una congiura demoniaca contro la creatura che porta in grembo, organizzata con la complicità del marito attore (Cassavetes) dagli arzilli Castevet (Gordon e Blackmer), coinquilini-stregoni mimetizzati negli abiti della borghesia di New York. Realtà o psicosi?

R. Polanski affascinato dal senso di mistero che serpeggia nel romanzo di Ira Levin, da cui è tratto il soggetto del film, ne cava un memorabile esempio di cinema della minaccia e ripropone il tema dell’ambiguità fino a farne la struttura portante della narrazione.

È “un incubo cinematografico dove la possibilità di orientarsi tra fantastico e reale è persa sempre, mentre resta a dominare la scena la sensazione di angoscia ridotta al grado zero e perciò ancor più inquietante” (S. Rulli).

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Venerdì 13 settembre (ore 21.00) sarà la volta de L’inquilino del terzo piano (Francia 1976), il decimo lavoro di Polanski e sicuramente il più kafkiano, grazie alle atmosfere claustrofobiche e grottesche che inchiodano lo spettatore a questo condominio popolato di personaggi che sembrano parenti dei vicini di casa di Rosemary Woodhouse.

Una dramma gotico e psicologico sulla diversità e sulla figura dello straniero, interpretato da un Polanski dostoevskijano e interpretabile come metafora e riflessione sull’artista, in bilico tra follia e razionalità estrema e ossessionato da un pubblico volgare e gretto. Come in Rosemary’s baby, anche qui il nemico è rappresentato dalla società, il vicinato che complotta contro il protagonista con fare massonico. E il protagonista Trelkosky, smarrito come un personaggio di Kafka, finisce per diventare una pedina ingabbiata in un sinistro meccanismo più grande di lui, inesorabilmente condannato a un destino beffardo dal quale non riesce a svincolarsi.

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La rassegna si chiude sabato 14 settembre (ore 21.00) con Chinatown, un film neo-noir del 1974, con Jack Nicholson, Faye Dunaway e John Huston: si tratta dell’ultimo film americano di Roman Polanski, successivamente tornato in Europa.

Siamo nel 1937 a Chinatown, il quartiere cinese di San Francisco: un detective ex poliziotto minaccia involontariamente gli interessi di personalità influenti che cercano di toglierlo di mezzo.

Riuscitissimo tour de force di Roman Polanski attraverso gli archetipi del noir classico, in un viaggio al cuore nero dell’America, con un umorismo che ne sorregge il pathos nella descrizione di un mondo corrotto non solo politicamente: in cui la presenza del male – incarnato dal vegliardo capitalista J. Huston – è ossessiva e sinuosa, mostruosamente ambigua.

Tullio Kezich ha scritto: “Tutto il mondo è Chinatown dove la corsa al profitto partorisce mostri”.

 

Tutti i film saranno proiettati in versione originale sottotitolata

 Entrata con tessera e sottoscrizione